di Domenico Meo [1],
tratto da Le Feste di Agnone – Palladino Editore, Campobasso 2001
«Sant’Antonio oltre ad essere patrono di Padova, è anche protettore delle messi in memoria della prodigiosa liberazione di un campo di grano dagli assalti di stormi di passeri, ma in realtà perché la sua festa cade in giugno; trova il fidanzato alle ragazze da marito, protegge orfani e bimbi, tant’è vero che un tempo molti bambini graziati o miracolati dal santo indossavano in seguito a un voto della madre il saio francescano; veglia sull’arrivo della posta e permette il ritrovamento degli oggetti smarriti; dà la vista ai ciechi, la favella ai muti, l’udito ai sordi: E può compiere, secondo la tradizione popolare, addirittura tredici miracoli al giorno».[2]
La festa dedicata a Sant’Antonio di Padova, viene solennizzata nelle chiese di Sant’Antonio Abate (fino agli anni venti, si celebrava nella chiesa dedicata al Santo), San Francesco e Santa Maria di Costantinopoli.
Nella chiesa di Sant’Antonio Abate, il Santo, posto nel secondo altare a destra, è effigiato con il saio e regge tra le braccia il Bambino. Nei due lunotti ai lati del finestrone dell’organo sono affrescati due dipinti riguardanti la vita del Santo: in uno Sant’Antonio parla agli uccelli e ai pesci in quel di Rimini, nell’altro si vede la mula inginocchiarsi davanti all’Eucarestia.
Nella chiesa dei Cappuccini, il francescano risiede nella nicchia a destra dell’altare Maggiore, ed oltre al saio, ha il giglio sotto il braccio, simbolo della purezza e della verginità, ed il libro, su cui è seduto il Bambino(quando il Santo versava in uno stato di salute precario, ebbe in visione Gesù Bambino).
Nella chiesa di San Francesco, il padovano è collocato nell’altare a sinistra del Maggiore. Esso fu eretto nel 1793 con le elargizioni dei mugnai;[3] il Santo reca un saio dorato, il giglio nella mano sinistra, mentre con l’altra regge il libro ed il Bambino.
Nelle tre chiese, la festa viene celebrata solo con riti religiosi. A Sant’Antonio e i Cappuccini si svolge una processione per le vie della parrocchia; a San Francesco si osservano solo le celebrazioni liturgiche, mentre, negli anni venti, la festa, preceduta da una tredicina, si concludeva con una solenne processione lungo le vie cittadine a cui partecipavano le Confraternite e tantissimo popolo devoto.
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[1]Domenico Meo, Abruzzese di Castelguidone (CH), ma agnonese di fatto, lavora alla Asrem di Agnone (IS). Si occupa, in termini scientifici, di dialetto, riti, usi e tradizioni popolari. Tanti i suoi libri, su cui giganteggia il Vocabolario della lingua di Agnone.
[2]A. Cattabiani, Santi d’Italia, Rizzoli, Milano 1993, p.115.
[3]N. Marinelli, Agnone Francescana, Agnone 1927, p. 39, nota 2: «Presso l’altare di Sant’Antonio vi è questa lapide: Piis mulionum sumptibus erectum est A.D. MDCCXCIII. Per comprendere questa lapide bisogna aver presente che i Frati Minori Conventuali di Agnone avevano in Contrada Santa Lucia un mulino presso la riva sinistra del Verrino. La località, dove sono ora i ruderi del mulino, si chiama ancora Mulino dei Monaci. Ai mugnai addetti a tale mulino deve riferirsi in modo speciale, se non esclusivo, la presente lapide».
[ n.d.c.] Nei primi anni novanta, in seguito ai lavori di costruzione della “Fondovalle Verrino”, dell’antico mulino non è rimasta nessuna traccia.
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