Dalla sgozzatura alla spartitura, la festa del maiale racconta un mondo fatto di gesti, sapori e convivialità. Un patrimonio rurale che resiste nel cuore del Molise
di Domenico Meo
Il maiale ha da sempre un ruolo centrale nell’economia domestica rurale. Allevato con prodotti genuini come crusca, granone, barbabietole e patate, il suo sacrificio è un rito che resiste al tempo e ai mutamenti sociali. Fare la “festa al maiale” non è solo un’usanza contadina, ma un vero e proprio momento di comunità e memoria collettiva.
I giorni più propizi per l’uccisione del maiale sono quelli tra Natale e metà febbraio, preferibilmente in luna calante. Familiari, amici e vicini si ritrovano di mattina per una colazione abbondante a base di salumi, caciocavallo e vino. Poi si procede con la preparazione degli attrezzi e del tino di legno, chiamato secchiàune.
L’uccisione avviene con un colpo deciso alla giugulare, mentre gli uomini tengono fermo l’animale. Una donna raccoglie il sangue, utile per preparare i sanguinacci dolci o salati. Quelli salati vengono poi fritti con cipolla o patate, secondo una tradizione antichissima.
Dopo la morte, il maiale viene depilato e bruciacchiato con ginestre e paglia per ottenere una cotenna morbida. I contadini di Agnone sostengono che il fuoco “non incrudisce” la carne, mantenendone la naturale consistenza. L’animale viene quindi lavato, rasato e appeso per la pesatura, con l’aiuto del caratteristico gancio ramegliére.
Segue la sezionatura, un’operazione che richiede grande perizia per non danneggiare le interiora. Le due metà vengono lasciate a riposo per una notte intera, sospese al gelo. Intanto le donne si occupano della pulizia delle viscere e della preparazione dei tagli migliori per la stagionatura.
Terminata la parte pratica, arriva il momento conviviale. Si pranza con maccheroni con le uova, agnello imbottito e pollo ruspante. I contorni spaziano da cavolfiori a melanzane sott’olio. A fine giornata si accende il fuoco per l’agnello alla brace e si servono dolci tipici come ostie e pizzelle.
La festa era animata da canti e balli popolari: la spallata, danza nuziale eseguita con colpi di anca; il saltarello, danza di corteggiamento accompagnata dall’organetto; e ru scepizze, di origine ottocentesca. In tempi più recenti si sono aggiunti valzer e mazurca, segno del dialogo tra tradizione e modernità.
Due giorni dopo, nella fase chiamata “s’ara spartojje”, si insaccano salsicce e salami, appesi poi a essiccare su pertiche di legno. La conservazione avviene sotto sugna, sott’olio o sottovuoto, garantendo scorte per l’intero inverno. Un rito antico, manuale e sapiente, che ancora oggi racconta l’identità contadina del Molise.
Fonte: Domenico Meo – Tradizioni popolari del Molise
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