C’è un’Italia che non compare più sulle carte geografiche, ma che vive ancora nei racconti, nei dialetti e nelle tradizioni popolari tramandate di generazione in generazione. È l’Italia degli Abruzzi e Molise, una terra antica e fiera, dove i monti si specchiano nel mare e i paesi conservano ancora oggi la memoria di un passato condiviso. Per secoli, questo territorio è stato considerato un’unica regione naturale, un crocevia di culture e identità che si intrecciavano tra le valli dell’Appennino e le coste adriatiche.
Si estendeva per circa 16.600 km², comprendendo gli attuali Abruzzo, Molise e il Circondario di Cittaducale, oggi appartenente al Lazio. Questa antica regione, con capoluogo a L’Aquila, rappresentava un mosaico di usanze, dialetti e feste popolari che univano i popoli delle montagne e delle pianure.
Già al tempo del Regno di Napoli (dal XIII secolo fino all’inizio dell’Ottocento) e, successivamente, del Regno delle Due Sicilie, il territorio era suddiviso in quattro province: Abruzzo Ultra I, Abruzzo Ultra II, Abruzzo Citra e Contado del Molise. Quest’ultimo, tuttavia, non coincideva affatto con l’attuale regione molisana: comprendeva infatti meno della metà del territorio di oggi e non includeva né l’Alto Molise, né l’Alto Volturno con le sue Mainarde. La futura regione fu in parte anticipata dalla Provincia di Campobasso, istituita durante l’amministrazione napoleonica.
La suddivisione delle province rispondeva a criteri sia storici che geografici. I fiumi Pescara e Trigno segnavano il confine naturale tra Abruzzo Citra e Molise, mentre l’Abruzzo Ultra II era separato dalle altre province dalle imponenti catene montuose dell’Appennino: dal Terminillo ai Monti della Meta, passando per i Monti della Laga, il Gran Sasso e la Majella. Era un territorio vario e complesso, dove ogni valle custodiva dialetti, riti religiosi e feste popolari che ancora oggi ne raccontano la memoria.
Nel 1852 avvenne l’annessione del comune di Ancarano, già appartenente allo Stato Pontificio, e con la nascita del Regno d’Italia si verificarono ulteriori modifiche: la regione inglobò Venafro, precedentemente parte della provincia di Terra di Lavoro, ma dovette cedere alcuni comuni alla nuova Provincia di Benevento, tra cui Pontelandolfo e Casalduni, tristemente noti per la strage del 1860 ad opera delle truppe piemontesi.
La denominazione “Abruzzi e Molise” scomparve nel 1963, quando il Molise fu staccato dall’Abruzzo e divenne regione autonoma. La nuova entità comprendeva la provincia di Campobasso, a cui si aggiunse nel 1970 quella di Isernia. Fu un evento unico nella storia dell’Italia repubblicana: l’unico caso di formazione di una regione per distacco da un’altra. Di conseguenza, le zone dell’Alto Molise e dell’Alto Volturno possono dirsi “molisane” solo da due generazioni.
La separazione, tuttavia, non avvenne senza polemiche. L’idea di rendere il Molise una regione autonoma trovò l’opposizione di numerosi costituzionalisti, preoccupati per la scarsa autosufficienza politica ed economica di un territorio tanto piccolo. Per realizzare il distacco si ricorse alla Legge Marracino del 1957, una norma “ad personam” che modificava eccezionalmente la Costituzione, abbassando il limite minimo di un milione di abitanti necessario per la creazione di una nuova regione.
La secessione fu quindi approvata senza consultazione popolare, senza referendum e senza un vero dibattito pubblico: bastarono pochi voti in Parlamento per sancire la divisione. Una decisione che oggi apparirebbe impensabile, ma che allora venne giustificata con motivazioni di equilibrio amministrativo e sviluppo locale.
Nonostante la separazione, Abruzzo e Molise continuano a condividere un profondo legame culturale e storico. Le tradizioni pastorali, i riti legati alla transumanza, le feste patronali e la cucina tipica, testimoniano un’eredità comune che affonda le radici in secoli di convivenza. Ancora oggi, nei dialetti e nei costumi delle comunità di confine, si avverte l’eco di un tempo in cui Abruzzi e Molise erano una sola terra, unita dalla storia e dalle montagne.
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