Scritto di Gustavo Tempesta Petresine
L’incongruenza del sogno prescinde da tempo e spazio. Così, mi trovai in una dimensione indefinibile sognando S. Paolo, l’apostolo che ebbe la visione degli inferi. Mi trovai in un’aura immateriale, ovvero, nel sogno ero incoscientemente presente. Dopo avere visto, con grade pena, il girone dell’anti-inferno popolato dagli ignavi, dove mi parve di riconoscere vecchie e “nuove” presenze della infanzia vissuta nel mio paese, dal fondo di un dirupo vidi salire un uomo. Era il Vate Gabriele D’Annunzio, incaricato di guidarmi attraverso un limitrofo inferno; un inferno minore. Nel sogno usavo un linguaggio… una specie di volgare dantesco misto a una sua evoluzione verso il ‘500. Bah!
Erano le cinque del mattino quando suonò la sveglia chiamandomi a costruire qualcosa di concreto. Dovevo lavorare e quello non era un sogno…
…Così voltai lo guardo a me ritroso …Fu così che voltandomi
Vedendo moltitudin sofferente vidi molta gente che soffriva
Da occhi inviperiti e fare iroso. con occhi avvelenati e colmi di ira.
Era lo spirto di quei che in lor’ vita Era lo spirito di quelli che da vivi
Non operaron’ mal’ e ben’ alcuno si adoperarono né per il bene né per il male
E non provai per lor’ alcuna piéta. e provai per loro alcuna pietà
Oh, Pescum che da l’alto de ‘l borro Pesco, che dall’alto del borgo
Guardi la valle e lo sacro fiume, guardi la valle e il fiume Sangro,
Dai a me ‘l lume si ragiono o erro dimmi se ho ragione o torto.
Se de li Carracini fusti loco. Se dei Carricini fosti la terra,
Nostra semenza e nostri nascimenti, il seme della nostra stirpe,
Com’è esto defunger poco a poco? come mai questo morire poco per volta?
Com’è che l’arme antiche furen frante come successe che le armi antiche furono rotte
Dianzi a Silla e la potente Roma davanti a Silla e alla potente Roma
Eredi senza volto e senza fonte? eredi senza tradizione e senza storia?
Ora soggetti al barbaro pensiero soggetti ora al “civile divenire”
Dell’esser divenute sciatte e mute di essere diventati inutili e muti
Simil’ a frutto marcio de lo pero simili al frutto che marcisce caduto dal pero
Voi ‘mberatur d’avìta dinastia Voi “imperatori” di antica dinastia
Che tramandaste di poter semenza che tramandate il potere come fosse un seme
Ed ancor oggi, forse, più che pria ed oggi ancora, forse, più che ieri
Privilegiate vostra nascinenza. privilegiate la vostra discendenza
E come saxa corre ne le vene e come il sangue che scorre nelle vene
Pe’ poi tornar a ‘l cor, per poi tornare al cuore,
rubra in cerchianza di nuovo circolando rosso
Di vostro nascimento prole filia la figlianza della vostra prole
imberatur deventa in loco osanza. diventa nuovamente imperatore.
Queste parole a me javo decenno Queste parole “mi dicevo”
In mentre che lo basso de la ripa mentre dal basso di un burrone
Lo Nunzio Gabriele a me menanno Gabriele D’Annunzio verso me
Traeva da lo foco de l’inferno. veniva dal fuoco dell’inferno.
Che fa voi Vate in esto loco rio? Che fate, Vate, in questo brutto posto?
E come vi giungeste e qual’ che fura? Come ci arrivaste e come fu?
Lo Vas Electione a voi mostrovvi S. Paolo vi mostrò il percorso
Per giungere all’Averno, quale via? per giungere all‘inferno, per quale via?
se per uman sentier’ giammai trovossi se per un sentiero da vivi non ci si arriva
sia che fue alma bona o alma ria? sia essendo una persona buona o cattiva.
Ed Elli a me favella revuolgette: Ed egli si rivolse a me parlando:
Come conosce lo nomine meo come fai a sapere chi sono
Tu che vien da lo loco e da la terra tu che vieni da quella terra (Abruzzo e Molise)
Ch’io disprezzai e coversi d’elegia? che io disprezzai ma coprii di elogi
Io saccio ca tu sei d’ prete e terra avverto che tu sei di carne ed ossa.
E sarò guida a te e sarò spia Ti sarò guida e consigliere
Ne li giron’ limitrofi a lo ‘nferno Nei gironi limitrofi dell’inferno
Dove de li paesan v’ è gente ria. Dove si trovano (le anime) dei paesani cattivi
Sì, m’accostai allo meo Nunzio Vate Mi accostai al mio Vate
Essendo nano a sua alta statura avvertendo la mia piccola “statura culturale”
Che rubra si signaron le mie gote. E vergognandomi arrossivo.
Vidi le genti co’ calzari sciolti vidi “le anime” con le scarpe sciolte
Che dopo passo ad inciampar cadendo che dopo un passo cadevano inciampando.
Avean ira e scorno su’ lor volti Avevano sul viso la rabbia e lo sconforto
Dopo che ‘n piedi fueno di novo Dopo essersi alzati di nuovo
Tuornavano a cader’ e ne lor lacci tornavano a cadere e causa i lacci
Lo corpo si straziava dentro un rovo finivano straziati dalle spine
Chi son, magistro, cotesti sofferenti Chi sono, Maestro, questi sofferenti
Pei quali i’ già provo tanta pena? per i quali già provo tanta pena?
Hanno froge squarciate e denti rotti Hanno nasi squarciati e denti rotti.
Perché s’affannan con cotanta lena? Perché si affannano con tanta fretta?
Egli rispuose: sono i Rosellani Egli rispose: sono quelli di Rosello,
Che a presso de la terra de Molise confinanti con il Molise
Innalzano confini co le mani non vogliono essere accomunati.
Che da l’Abruzzo fuer sì divise Sono quelli che rimasero in Abruzzo
da la ‘ngordigia de l’ommini nani. a causa dell’autonomia voluta da interesssati
Ed ora pel peccato de l’orgoglio Adesso a causa del peccato di orgoglio
Di esser sussiegosi e abruzzesi di sentirsi solo Abruzzesi e non Molisani
Condanna loro è pena con gran doglio scontano la pena con grande sofferenza.
Escimmo poi dal poco ameno loco Uscimmo dal luogo poco piacevole
E ci inoltrammo pe verzure e boschi e ci inoltrammo per prati e boschi
Lo cor’ ‘i mi sentìa più cheto e lasco sentivo il mio cuore calmo e lieto
Ma ‘l guardo che credea veder lo cielo ma gli occhi che credevano vedere un cielo
Rimase orbo a cotanto orrore; rimasero ciechi di fronte a un altro orrore
Lo Vate con la man parava un velo il Vate, con la mano, mi riparava
Che per pietade distuolse a me ‘l dolore. per pietà allontanò da me un dolore
E come infante che a materno seno ed io come un bambino che si strige al seno
Si strenge e se ripara a farsi core della madre per darsi coraggio
trovai riparo dal loco poco ameno. Trovai un riparo da quel luogo
Ei disse a me: lo sito che spaura Egli mi disse: il luogo che ti spaventa
E tanta tema ancide lo sereno e con tanto orrore uccide il sereno
fue bellezza un tempo e acqua pura un tempo fu bellezza, e acqua pura
Correva in fra li monti e la verzura, correva tra i monti e i prati
Or l’abbandono regna e cosa dura adesso tutto abbandono e tristezza
È: che ‘l bon’omm si fugge e si spaura è: che il brav’uomo emigra impaurito
Se riede più non trova ‘l nido antico seppure torna non trova la sua casa
E lagrime non versa e non si cura. e se la trova resta indifferente
Come l’augel che lascia ‘l nido e ‘l corvo come l’uccello che lascia il nido e il corvo
lo prende lo destruie et lo ruina, lo distrugge e lo rovina,
scevro d’amor e d’ odio ‘l tene in serbo. senza provare né amore né odio.
Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine
La bella terzina dantesca ha fatto gola al nostro poeta Gustavo, che da par suo vi si è cimentato con gran risultato letterario e con una nota ancora evidente di quell’immancabile campanilismo che c’era UNA VOLTA tra i paesi confinanti ….
Ma la parte finale, ahimè dolorosa, dello stato di abbandono dei paesi, “riaccomuna”nel dolore gl’ignavi “paesani” che tornano, ma non ritrovano i loro nidi…pur un giorno elogiati dal grande vate Gabriele D’Annunzio…
Grande esempio di denuncia sociale e politica….
Ironico e piacevole sogno ad occhi aperti!
E SPERO IL POETA NE FACCIA ALTRI SIMILI!
La bella terzina dantesca ha fatto gola al nostro poeta Gustavo, che da par suo vi si è cimentato con gran risultato letterario e con una nota ancora evidente di quell’immancabile campanilismo che c’era UNA VOLTA tra i paesi confinanti ….
Ma la parte finale, ahimè dolorosa, dello stato di abbandono dei paesi, “riaccomuna”nel dolore gl’ignavi “paesani” che tornano, ma non ritrovano i loro nidi…pur un giorno elogiati dal grande vate Gabriele D’Annunzio…
Grande esempio di denuncia sociale e politica….
Ironico e piacevole sogno ad occhi aperti!
E SPERO IL POETA NE FACCIA ALTRI SIMILI!