Novella di Esther Delli Quadri
“È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi […]
ma lagrime ancora e tripudi suoi”
(Giovanni Pascoli: Pensieri e discorsi, Bologna, 1907)
A nonno Giovanni

Giovanni tirò fuori dalla sua borsa i libri e li pose sulla cattedra.
Il suo pensiero continuava ad andare, come gli succedeva spesso, a “quella volta” che erano rimasti alla “masseria” poiché sapeva che qualcosa era “veramente” iniziato tra lui e suo figlio quel pomeriggio ed era certo che di quell’intero anno scolastico Tonino aveva sempre ricordato soprattutto quella giornata e quella serata da Onofrio.
Si chiese se anche per suo figlio un giorno il ricordo di quel particolare pomeriggio avrebbe avuto un significato speciale.
Quella mattina lui non avrebbe voluto portarlo con sé a scuola, rammentò, perché in quei giorni di dicembre era particolarmente freddo.
Tonino, però, tanto aveva fatto che suo padre alla fine aveva acconsentito a portarlo.
E così la mamma gli aveva arrotolato stretta, stretta la sciarpa intorno al naso e alla bocca, e con il berretto di lana tirato bene fin sopra alle orecchie era stato issato da suo padre, come al solito, sulla canna bicicletta.
“Tiemp d’ nev” avevano sentito dire da un contadino lungo la stradina che portava a scuola.
E infatti la neve aveva cominciato a scendere verso le 10.00 del mattino ma “just’ na n’casciatella” come aveva sentito dire da Onofrio.
Giovanni non si era dato molta pena, sembrandogli che la situazione non dovesse peggiorare a breve.
Invece, all’improvviso, il cielo si era dapprima oscurato e si era levato un forte vento, poi tutto era diventato bianco ed era cominciata a cadere una neve sottile e gelata che pungeva come aghi.
A quel punto, con quel ventaccio, non si era fidato a riprendere la via del ritorno e aveva preferito aspettare un po’ sperando che cessasse. Aveva però mandato a casa i bambini.
Lui e Tonino si erano seduti vicino al camino scoppiettante che a tratti ricacciava nella stanza il fumo respinto nella canna fumaria dal forte vento e Giovanni aveva continuato ad alimentare il fuoco.
Il tempo era passato ma la bufera di neve non aveva accennato a diminuire. A pranzo avevano consumato un po’ di pane e formaggio avanzato dalla mattina.
Le prime ore del pomeriggio erano trascorse senza miglioramenti.
Dalla finestra Tonino aveva osservato quel paesaggio tutto bianco irriconoscibile da quello a cui lui era abituato.
Il vento era cresciuto diventando vento di bufera che sembrava voler scoperchiare il tetto. Soffiava impetuoso e gelido non trovando ostacoli al suo passaggio e trasformava tutto in un paesaggio lunare. Una forza terribile e oscura sembrava dominare la natura intorno e la neve aveva continuato a scendere vorticando nell’aria.
Giovanni, rassegnato a trascorrere lì la notte, aveva condotto Tonino in una stanza attigua dove, insieme a vari attrezzi da lavoro risalenti al tempo in cui la ” scuola “ era stata una masseria, c’erano coperte, un cuscino e una vecchia e sgangherata branda con sopra un materasso di ” fruscie” che stavano lì in caso di necessità.
Per stare più al caldo aveva detto a suo figlio che avrebbe trascinato la branda vicino al fuoco .
E così aveva fatto. Anzi gli aveva chiesto aiuto per portare materasso, cuscino e coperte e per comporre il letto.
Aveva disteso il materasso su due sedie in modo che si riscaldasse al calore del camino e perdesse l’umidità che certamente le ” fruscie” avevano e aveva insegnato a Tonino ad infilare le braccia in due grosse asole che erano nel materasso per smuovere le “fruscie” all’interno in modo che il calore si distribuisse uniformemente.
A Tonino mentre smuoveva ” le fruscie “ con le braccia era scappato da ridere perché gli era tornata in mente la frase “matarezz’ d’ fruscie, s’ t’ar’vuold è nu sfrusc’ ” con cui Onofrio prendeva in giro i cugini e le sorelle prima di dormire.
Ma se l’era tenuta per sé dal momento che conosceva il divieto di suo padre ad usare il dialetto.
Mentre si davano da fare per la notte avevano chiacchierato a lungo.
Giovanni aveva detto che la mamma non sarebbe stata in pensiero perché avrebbe immaginato che erano rimasti a passare la notte a scuola. Poi aveva aggiunto sorridendo, che era però preoccupato dei suoi rimproveri nel caso in cui non fosse riuscito a mettere insieme una cena qualsiasi per Tonino.
Tonino aveva ridacchiato all’idea della mamma che rimproverava suo padre e suo padre aveva riso con lui!
Stoicamente Tonino si era professato in grado di digiunare per una sera, dandosi arie da adulto avvezzo ai sacrifici. Ma proprio mentre lo affermava il suo stomaco si era messo a ” brontolare”.
Questo aveva procurato in tutti e due una risata e Giovanni aveva deciso che sarebbe andato da qualche contadino lì vicino a chiedere di vendergli qualcosa per la cena, perché, così aveva detto guardandolo, “era preoccupato che si corresse il rischio che quel brontolone del suo stomaco non gli facesse chiudere occhio”.
Ne erano seguite altre risate.
Fuori la neve continuava a cadere turbinando e Giovanni aveva spiegato a suo figlio che quel tipo di bufera, che nella zona veniva chiamato “spulv’rizz”, era tipica delle montagne dell’Appennino che, non avendo intorno cime particolarmente elevate a proteggerle, sono di conseguenza scoperte e senza riparo dai venti. Era quello il motivo per cui era tanto difficile mantenere le strade pulite perché i mucchi di neve si spostavano continuamente a seconda del vento!
Allungandosi ormai le ombre della sera aveva poi cominciato a prepararsi ad andare in qualche masseria vicina per comprare qualcosa da mangiare.
Ma proprio mentre si stava imbacuccando ben bene per uscire, si erano uditi dei colpi alla porta.
Era andato ad aprire. Sulla soglia della porta si era stagliata la figura di un uomo alto, completamente avvolto in un grande mantello a ruota di panno nero col collo rialzato, una coppola in testa e che reggeva in mano un lume.
Più che vedersi, il nero si indovinava perché l’uomo era completamente ricoperto di neve!
“ Un brigante!” aveva esclamato Tonino, suggestionato dalle storie che a Onofrio narrava suo nonno. Ma quando l’uomo aveva parlato, aveva riconosciuto la voce del padre di Onofrio.
“Bonasera, maè” aveva detto l’uomo “ Onofrio c’ha ditt’ ca mad’man’ ch’ Vu c’ stava pur’ ru citr’, ….po so viscta la liuc’ … e…. Ascuì so m’nut’ a v’daje …..fa tropp’ l’ fridd ecch’ p’ ru c’trill….“( buonasera, maestro. Onofrio ci ha detto che stamattina con voi c’era anche il bambino…. Poi ho visto la luce…. E così sono venuto a vedere…. Fa troppo freddo qui per il bambino…….)
Giovanni aveva ringraziato per l’attenzione dicendo che si stavano organizzando per la notte con alcune coperte che teneva sempre lì a portata di mano per le emergenze.
L’unico problema era che non c’era niente da mangiare e stava appunto uscendo per andare a chiedere nei dintorni se potevano vendergli qualcosa…
“Non’ , maé…. Mogli’ma m’ ha ditt’ ca etá m’nì amagniè ell’a nu…. Fa troppe l’ fridd , maè, ru citr’ e pur’ Vuje v’eta magniē na cosa calla..” ( no, maestro….. Mia moglie ha detto che dovete venire a mangiare da noi ….. Fa troppo freddo .. Sia voi che il bambino avete bisogno di mangiare qualcosa di caldo….)
Giovanni aveva cercato di rifiutare. Non voleva arrecare disturbo …..
“Senza cumpl’mient, maè” aveva insistito l’uomo …. E podopp chi r’ vò s’ntì Onofrio s’arvagl’j schitta…” aveva terminato sorridendo a Tonino. (senza complimenti, maestro…. Aveva insistito l’uomo, e poi chi lo vuol sentire Onofrio se tornò da solo…..!)
Giovanni aveva allora guardato Tonino, lì fermo dietro di lui e tutto tremante dentro il cappotto che non gli aveva fatto togliere perché nonostante il camino acceso il freddo era pungente, ed infine ringraziando aveva accettato.
Si erano avviati quindi alla masseria di Onofrio che non era molto distante.
La notte sembrava venirgli incontro, insolitamente vestita di bianco. Il respiro si fermava ansante all’ingresso della bocca trasformandosi in freddo vapore.
Nel bianco e nel vento non si riusciva a distinguere più niente se non il lume acceso del padre di Onofrio che li precedeva. La furia del vento che li percuoteva togliendogli il respiro li faceva sbandare sotto le sue sferzate e Tonino sprofondava fino ai polpacci nella neve.
Giovanni, a cui lui dava la mano, si era allora chinato e lo aveva preso in braccio.
Continua ….
Copyright: Altosannio Magazine
Editing: Enzo C. Delli Quadri
BEL CAPITOLO! Delicatamente comincia a delinearsi l’inizio di una maggiore intimità di rapporto tra padre e figlio- maestro ed alunno-non sempre FACILE nei tempi andati, in quanto il distacco fra le generazioni era ritenuto segno necessario e imprescindibile dell’ autorevolezza degli adulti….
Appassionante. Brava Esther