di Flora Delli Quadri [1]

In vena di spirito potremmo chiamarle anche le “offe” scostumate
Un tempo, quando i dolci si consumavano solo ai matrimoni, era frequente vedere gli occhi di un bambino a cui si offriva “una loffa”, illuminarsi di un sorrisetto complice, fatto di sottintesi e di malcelata golosità.
I bambini sapevano molto bene cos’era una “loffa”, per questo ridevano. Nel linguaggio infantile rappresentava quella situazione imbarazzante che talvolta anche a scuola costringeva la maestra a rimproverarli e i compagnetti e deriderlo. I bambini di oggi, troppo italianizzati, quella parola non la usano più, anche se continuano a ricevere rimproveri dalla maestra e derisione degli amici.
La “loffa” non è quella cosa che Dante Alighieri chiama “trombetta”, essa è silenziosa ma lascia una traccia dietro di se non proprio piacevole.
Complice dei bambini, anche colui che offriva i dolci usava un atteggiamento pieno di sottintesi, giocando sull’equivoco creato dal termine.
Il dialetto ha trasformato “l’offa” in “loffa” e così nel linguaggio degli anziani il temine è rimasto e indica tuttora ciò che deve indicare, cioè il risultato di una cattiva digestione e contemporaneamente un dolce prelibato racchiuso nella memoria di molti emigrati, i soli oggi in grado di dare a questo dolce il valore che aveva una volta. Si offriva solo ai matrimoni, insieme alle ciambelle bianche di naspro, loro che erano del colore scuro della cioccolata, in una combinazione cromatica che aveva, in epoche non sospette, l’efficacia di una pubblicità di Oliviero Toscani.
Noi adulti rassegnati a dimenticare il dialetto, chiamiamo questo dolce “castagna”, anche se non ha nulla a che fare col frutto omonimo.
Non ce la mangiamo più solo ai matrimoni, anzi non ce la mangiamo affatto ai matrimoni poiché ha perso quella particolare aura di golosità che gli proveniva dalla rarità delle occasioni. La troviamo nelle pasticcerie, venduta a peso, e quasi la snobbiamo: troppo semplice per vincere la concorrenza dei dolci sovraccarichi di grassi, importati da altre tradizioni, che affollano le vetrine delle pasticcerie.
La “loffa” invece è un dolce puro, solo uova, farina, olio e zucchero, e poi cioccolato, tanto cioccolato, di quello purissimo, il migliore in commercio.
Ad un’anima di pasta semidura, nient’affatto dolce, si aggiunge una copertura di cioccolato che arricchisce questo dolce semplice e lo rende prezioso, e più è buono il cioccolato, più è buono il dolce.
Ecco la ricetta.
Per la pasta:
5 uova
un bicchiere di olio
4oo/500 g di farina
Impastare velocemente come una pasta frolla, far riposare, formare dei filoni del diametro di 3-4 cm (a seconda di come si voglio grandi) e ritagliare col coltello i pezzi che, dopo il taglio, devono avere la forma somigliante a quella di un cubo.
Poggiare sulla placca del forno, dalla parte tagliata, stringere lievemente ogni singolo pezzo con le dita in modo che si formi un leggero incavo nella parte centrale e infornare a forno caldissimo, come per la pizza.
Per il rivestimento:
Cioccolato puro sciolto a bagnomaria e diluito con un cucchiaio di olio di semi per aumentarne la fuidità. Immergervi le loffe e farle asciugare su una gratella
oppure
naspro di cioccolato preparato con 300 g di cioccolato puro, 200 g di zucchero, 200 g di acqua, 1 cucchiaio di cacao amaro, caffé già pronto per diluire all’occorrenza.
Far bollire l’acqua con lo zucchero e quando le bollicine sono piccole e la goccia diventa pesante e filante, togliere dal fuoco, aggiungervi il cioccolato e il cacao. Immergere in questo naspro le loffe, poggiare su una gratella e far asciugare.
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[1] Flora Delli Quadri, Molisana di Agnone (IS), prof.ssa di Matematica in pensione. Si occupa di cultura e politica; pur risiedendo altrove, ha conservato intatto l’amore per il suo paese d’origine che coltiva in forma attiva.
Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright Altosannio Magazine
SIMPATICO gioco intessuto con la complicità semantica e linguistica! Una vera leccornia ci hai donato, cara FLORA, con la tua bella ironia; verissimo il disagio che si crea non solo a scuola,ma in ogni ambiente dove UN MALCAPITATO ABBIA BISOGNO DI TORCERSI UN PO’ per aver abusato di una loffa in piùùùù!
Quando si diventa maturi si torna a ricordare i fatti di quando si era bambini. Il suo dolce squisito,”la loffa” ha richiamato alla mia memoria quanto succedeva allorché ad uno dei bambini partecipe ai giochi del pomeriggio, scappava l’incontenibile gassosità. Il gioco si fermava, ci si guardava con sguardi interrogativi, l’indice si muoveva per accusare qualcuno che con fiero cipiglio respingeva l’accusa. Si passava allora ad una specie di decimazione consistente nella recitazione di versetti da parte del bambino più autorevole: petino, petino, petoffa, chi ha fatto questa loffa, l’ha fatta un culo fetente, ha impuzzinito tutta la ge…..n……te! Il malcapitato che si buscava la parte finale della strofetta era senza ulteriori discussioni “il fetente”. La reazione dell’accusato a volte era di civile accettazione della sentenza mentre a volte era l’innesco per furibonde scazzottature che si concludevano con graffi, lividi, nasi sanguinanti che richiedevano l’intervento dei genitori, intervento pacificatore che portava ad un corale abbraccio. (commento in calce al post di Giovanni Paglione)