
Al mio paese i pettegolezzi si chiamano “parafellə” e le pettegole “parafellòirə”.
Nel Barbiere di Siviglia viene cantata un’aria che comincia così: “La calunnia è un venticello…” L’espressione evoca subito l’immagine di due o più persone che mormorano e dicono male di un’altra che al momento è assente e non sa (poverina) di essere il bersaglio delle contumelie altrui.
Il venticello cammina, avanza, s’ingrandisce e prende forza sì da diventare quasi un tornado che si abbatte sulla povera disgraziata; costei ignora di avere dietro le spalle il macigno della maldicenza. Poi un’amica “pietosa”, “mossa a compassione” della poveraccia, l’avverte, le riferisce i pettegolezzi, ci aggiunge qualcosa di suo, toglie e mette, “caccia e ficca” come si dice, e la frittata è fatta. La vittima ci resta male, se è colpevole non avrebbe voluto che si sapesse, se è innocente si difende e contrattacca per cui, diciamolo col poeta: “Parva (piccola) favilla gran fiamma secunda”.
Scoppia il ciclone, dapprima si smentisce, si giura e si spergiura, poi le mani si posano sul petto o sul “cuore”, luogo universalmente riconosciuto come sede nobile della coscienza e si nega accusando gli altri.
L’atto finale delle parafelle è “ru facciafruntə”: i due o più spergiuri si affrontano e in una sorta di duello gridato, si rinfacciano colpe vere o presunte, si litiga di brutto, volano ceffoni e, se sono donne, possono restare in mano anche ciocche di capelli avversari , mentre il turpiloquio regna sovrano, in cui la parola più pulita è “Tuo marito cornuto“
I contendenti, per lavare l’onta, andranno a confessarsi, credendo così di lavarsi l’anima. Quante Ave Maria di penitenza o “Atti di dolore” darà il prete?.
[1] Maria Delli Quadri, Molisana di Agnone (IS), già Prof.ssa di Lettere oggi in pensione. Ama la musica, la lettura e l’espressione scritta dei suoi sentimenti.
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Editing: Flora Delli Quadri