di Antonia Anna Pinna
In tutti i paesi ci sono favole locali e leggende che si tramandano di padre in figlio.
Io ricordo che, da bambina, i nostri familiari ci intimorivano dicendoci che, se ci fossimo allontanati troppo e da soli, avremmo potuto imbatterci in qualche spirito cattivo che poteva prendere sembianze animalesche e portarci via.
Il più pauroso era “le Scazzamarielle“; ce lo descrivevano come uno spiritello dispettosissimo e imprevedibile che poteva seguirci e sorprenderci quando eravamo sovrappensiero. Naturalmente noi facevamo finta di non crederci e li canzonavamo facendo i grandi. Ma quando all’imbrunire sentivamo i richiami dei lupi, non era certo rilassante uscire di casa anche per pochi metri. Il buio e le ombre si muovevano al ritmo delle nostre suggestioni e la tremarella ci prendeva alle gambe e il cuore cominciava a martellare. Una bella corsa a quel punto rimescolava le emozioni e tornavamo nel nido senza mai ammettere la paura.
Per i più grandicelli il personaggio da temere era “ le Pummenare” e quando parlavano di questo spirito maligno facevano i nomi di chi vi si era imbattuto e che non era più stato la stessa persona dalla grande paura che aveva subìto. Naturalmente facendo i nomi, la cosa sembrava verificabile ma nessuno di noi avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere per esempio << zè zè, è le vere cà te scite le Pummenare? >> e quindi la cosa restava nel vaghissimo che era proprio quello che volevano i nostri cari.
Per le ragazze la cosa si faceva più seria in quanto la loro voglia di libertà andava arginata in ogni modo; appena cercavano di allargare le maglie della censura materna per qualche scappatella innocente venivano apostrofate con << andò vi gerenne cà me pare na bandasema!! Se te trova la strega de Benevento te stracina abballe.
Alcuni ragazzi, però, cominciarono a divertirsi parecchio con la storia de le Pummenare e architettarono uno scherzo molto ben fatto.
In una estate della metà degli anni settanta la compagnia che frequentava mio fratello tirava tardi girando per il paese raccontando le solite sciocchezze e disturbando le persone che volevano dormire. Erano tutti ragazzi di quindici-sedici anni, fumavano di nascosto, si sentivano scafati non sapendo che tra loro c’era qualcuno pronto a portare il discorso sui racconti degli anziani. Si sistemarono sui gradini della parte alta del paese dove s’intrecciano tanti vicoli che portano in mille e in nessun posto. All’improvviso una figura mostruosa e urlante apparve dalla rocca: aveva tutti peli sul viso e gusci delle noci sugli occhi, le unghie come artigli e un ansare orripilante. Fuggirono tutti in ogni dove con le gambe in preda alla tremarella, i più corsero verso la propria dolce dimora. Nessuno ebbe il coraggio di smascherarlo. Lo scompiglio e la paura furono così forti che mio fratello per tanto tempo la sera per tornare a casa voleva essere riaccompagnato.
Ci cascarono anche le ragazze che, frequentando i nostri buontemponi, li seguirono tranquille, o quasi, nella passeggiata serale. Mentre camminavano verso il cimitero cominciavano a fare discorsi di morti viventi; le femminucce cominciavano ad innervosirsi fino a quando il mostro da dentro il cancello del camposanto non cominciò il suo pezzo forte. Le urla delle ragazze si sentirono fino al campo sportivo e il fuggi fuggi che ne derivò fece intervenire qualche adulto richiamato dalle grida delle poverette.
I nostri amici si divertirono molto in quell’estate lontana ma noi ne parliamo ancora di tanto in tanto per ricordare le nostre paure e la nostra gioventù. Ora sappiamo che le scene teatrali erano preparate con dovizia e tanto divertimento. La suggestione è un’emozione molto forte e anche molto umana.
Editing: Enzo C. Delli Quadri
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