di Mario Antenucci, tratto dal suo libro “Pane e Vino” [1]
Alla mietitura del grano seguiva la sua trebbiatura, che significava quantificare il raccolto e metterlo al sicuro.
Anche quei giorni erano duri, pesanti e difficili!
Si adunavano i covoni di grano – le messi – sull’aia in attesa di essere trebbiati .
La trebbiatura dapprima consisteva nel legare al giogo buoi o muli che tiravano una grossa pietra che strisciando sulle spighe le sgranavano. Gli uomini che partecipavano al lavoro rivoltavano ed alzavano le spighe e la paglia con forconi e pale di legno, separando i chicchi di grano dalla pula con il favore del vento o con l’aiuto di crivelli e setacci. Era un lavoro che durava anche parecchi giorni.
Il progresso favorì l’uso di trebbiatrici meccaniche che venivano portate in spazi ampi e pianeggianti ove si adunava il grano con asini e muli.
Mi viene alla mente quella volta in cui avevano raccolto, in uno di quei grandi spazi, tutto il nostro grano – circa duecento covoni – e non si sa come e da parte di chi prese fuoco quasi tutto il nostro ammasso.
Ho ancora vivi davanti agli occhi i pianti e le grida di tutti noi, le scene di panico. Quel giorno scattò un piano di solidarietà tale che ricordo ancora minutamente i nomi e i visi delle persone che parteciparono allo spegnimento del rogo: così il maestro di quinta elementare, Checchino, che cercava di coordinare le varie azioni.
Quasi tutto il paese, con le campane della chiesa che suonavano a distesa come in caso di calamità, partecipò alle operazioni di spegnimento del fuoco e di recupero di quanto possibile.
Erano andati in fumo il lavoro e la provvista di un anno!
Per giorni e giorni a casa nessuno parlava più, tale e tanta era la prostrazione che regnava: sembrava che pure le pietre di casa soffrissero per quella disgrazia.
Non so come andammo avanti durante l’annata!
Sicuramente mio padre e mia madre avevano provveduto, con l’aiuto degli uomini e la Provvidenza del Signore, a riempire i cascioni di grano e non accadde che, come si dice comunemente, “è morto Giovanni e non si mangia più minestra”.
Ancor oggi ripenso ai giorni della mietitura quando il Sole cocente batteva sulla terra e rifrangeva l’afa sul viso dei mietitori, facendo gocciolare la loro fronte di sudore che sapeva di sale.
Il processo di meccanizzazione di oggi ha alleviato sicuramente le fatiche, le sofferenze e gli affanni della nostra gente e dei nostri contadini soprattutto, ma ha privato gli stessi di un mondo e di un senso di vita non più rintracciabili: il mondo della comunanza e la vita fatta di socialità.
[1]Pane e Vino, un libro molto prezioso , nella cui premessa si leggono queste frasi significative: “Un tozzo di pane e una ciotola di vino, per pochi, erano i componenti essenziali della nutrizione negli anni difficili della rinascita. Pochi tenevano sia l’uno che l’altro, sul desco, per ristorarsi nei giorni del solleone e per consolarsi intorno al camino nei giorni freddi dell’inverno. Pane e vino costituiscono gli elementi sostanziali della liturgia nel Cristianesimo. “Senza di essi non si canta messa”, così si diceva e si dice ancora. Per dirla con Nedo Fiano, il mio intento è quello di “conservare, custodire e trasmettere la memoria”. Credo “fermamente nel dovere del ricordo perché il nostro passato è, in qualche maniera, memoria del futuro”.Chi fosse interessato ad avere il libro può scrivere a: m.antenucci1947@gmail.com
Editing: Enzo C. Delli Quadri
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