di Marisa Gallo

Fra settembre/ottobre nei paesi un tempo fervevano tanti lavori, tra frousce e vuine!
Chi può dimenticare il primo lettino da bambina e da ragazzina , fino ai 10- 12 anni!? Il lettino della mia infanzia era appunto, poco meglio di un pagliericcio: preparato con due trespoli di ferro e delle assi di legno sottili, forse di abete, su cui poggiava un materassino di crine e sotto di esso un “saccone di frusce de grandeigne“– foglie di granturco… Queste sì nuove: di anno in anno si rinnovavano, perché consunte dall’uso o abuso dei nostri due corpi: mio e quello di mia sorella, ché forse ci giravamo spesso di notte. Eppure allora nonsoffrivo certo d’insonnia, come oggi!…
Non dormivo sugli allori!!! Ma ero piena di speranze e di sogni…futuri!
Certo, quelli erano Tempi“magri“ nel senso letterale del termine… Magri, o forse era solo una sensazione di fame? Giacchè si mangiava sempre a casa mia : colazione, pranzo, merenda e cena erano sacrosanti e “assicurati” da papà, “grande lavoratore”, indefesso e instancabile, tutto il giorno, tutti i giorni- feste e domenica comprese – sempre a lavorare…
Il pagliericcio!!! La caratteristica preminente era quel frusciare delle foglie di granturco che scricchiolavano, specie quand’erano nuove, cioè fresche di stagione…Eh già! ogni anno a settembre esse ringiovanivano… mentre noi crescevamo!
Quasi come ad una festa, nei giorni della spannocchiatura, davanti alla casa di za Nicetta, una vicina di casa , vedova e contadina – che coltivava i campi coi suoi quatto figli maschi – anche noi si andava a spannocchiare e sceglievamo le pannocchie -con la gioia Infantile per quei “setosi capelli biondi, castani o neri” e la paura dei bruchi nascosti all’interno. – Le ammucchiavamo al centro, mettendo “le frusce” accanto a noi, che poi ci riportavamo a casa , per seccarle e quindi usarle per il saccone: una specie di materasso, con due bocche/apertura, per infilarci le mani, o la “fercenelle– piccolo arnese di legno a due punte – e spiumacciarle al mattino, per ridare volume al letto….
Operazione faticosa e quotidiana, che più tardi quasi tutte le massaie col miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro – avrebbero fatto con la lana delle pecore, sostitutiva de le frousce…ma eliminati anch’essi qualche tempo dopo, coi materassi a molle, più comodi e “facili”… nella manutenzione. Talvolta, però, avveniva al tempo dei pagliericci anche qualche strana disavventura… … Proprio così anche nella mia famiglia!
Ebbene in quel tempo lontano accanto al letto- luogo ritenuto fidato e tranquillo- oltre ai comodini ( che in pochi avevano…a casa mia c’erano solo quelli della camera da letto dei genitori)…- oltre alla culla frequentemente presente, per la nascita di più figli- trovavano posto anche altri oggetti, poco attinenti al luogo: spesso qualche sacco… bianco o marrone- non ricordo – forse contenente farina!!!?
Anch’essa, nei tempi andati, si teneva nel sacco, quando si andava al mulino a macinare il grano, con cadenza settimanale e/o quindicinale, secondo gli usi e la numerosità delle famiglie, per preparare il pane e/o la pasta fatta quotidianamente in casa, a mano: cavatille, lahanelle, sagne, tagliarielle ecc ecc. Oh , quante volte le ho preparate, fin da ragazzina! Per questo ancor oggi, almeno alla domenica non faccio mai mancare a tutta la famiglia le dorate tagliatelle all”uovo, o le buone sagne solo “acqua e farina , più leggiere ( mia personale aggiunta: un pizzico di sale e un cucchiaio d’olio!)
Ma, tornando al pagliericcio, mi riaffiora un ricordo alquanto strano e sgradevole.
Anche vicino al nostro lettino, un anno solo, abbiamo avuto a mo’ di comodino un sacco marrone, non bianco, pieno di ” favetta” sul quale poggiavamo i nostri vestiti alla sera, prima di dormire…
Ahimè, ignare di una grave conseguenza, che si verificò purtroppo a danno mio, ma specie della sorellina più piccola: una fastidiosa forma “allergica” su tutto il corpo, con bruciore e prurito…
Fortunatamente la favetta ad ottobre fu seminata e ancor più fortunatamente il medico di famiglia, don Corrado de Fanis, intuì la provenienza dell’allergia e consigliò mio padre di non sistemare più il sacco vicino al letto!!!
Ancor oggi mi chiedo come mai quella scelta!? Forse non c’era posto sufficiente in cantina o forse la favetta lì poteva andar soggetta ai topi, nonostante la presenza in casa di un bel gatto screziato rosso!!?? Eppure non era alimento che si usava giornalmente la favetta , come invece avveniva ad esempio con le mele, di cui si faceva provvista a settembre, alla raccolta, e di solito si conservavano in soffitta, nel sottotetto, o spesso addirittura sotto il letto!!!!
Sì proprio così; ed io ricordo con quanto piacere, d’inverno, qualche sera, salendo la rampa di scale, per andare a dormire, aspiravamo il profumo di quelle mele a tinelle – o alimoncelle – stese sotto il letto grande dei genitori, e talvolta…impossibile resistere alla tentazione.!… facevamo un piccolo furto: ne prendevamo una, sbocconcellandola alternativamente nel lettino…io e mia sorella- a completamento della cena!
Che bontà! Quella sensazione, quello scricchiolio, quella dolcezza ed il profumo ce li ho ancora in bocca e in cuore.
Ricordo , a questo punto, quasi con un senso di “pulita” nostalgia anche altri pagliericci, allora diffusi in tante famiglie; ad es. quelli di una zia: una delle tre sorelle maggiori di mio padre, zia Peppina, donna molto sensibile, la più riservata delle tre zie paterne, vissuta nelle ristrettezze, con tre figlie femmine …

Tutti in una sola grande stanza, con due letti – pagliericci voluminosi, anch’essi con foglie di granturco e due coperte bianche tessute a mano : uno, letto matrimoniale, e l’altro letto per le tre figlie, mentre nell’angolo opposto al camino- lo ricordo bene anch’io – era sistemato il telaio. E sempre a turno, le due figlie maggiori tessevano le lenzuola ed altre cose per la loro “dodde“– il corredo, di cui molto probabilmente la nostra comune nonna Carmenucce aveva preparato l’ordito, giacchè era quello il suo mestiere.
Ricordo che presto, cioè molto giovani, e piene di speranze, le giovanette si fidanzarono e poi lasciarono la casa paterna e il pagliericcio, per un letto matrimoniale, forse più idoneo di questo nome. Solo più tardi ,invece, ha tessuto il suo corredo la terza figlia, di un anno più piccola di me – in verità io, non mi sono interessata mai di tessere !
E’ lei che oggi possiede quella enorme stanza, rimodernata in un appartamentino… Stanza, che ha visto dunque in successione le tre figlie spose, madri e nonne… Cara zia Peppina!
Una volta, essendo andata a Furci al Beato Angelo ci riportò tre vainelle: una a testa, a me, a mia sorella e a mio fratello- e una immagine sacra del Santo… forse per dare un “segnale” a mio padre!?…
Era avvenuto infatti che un giorno, forse di giugno, di mattino presto, sulla strada verso il Trigno, dove c’era una nostra campagna, papà incontrando za Peppina e suo marito-uomo molto devoto e pio- che con l’asino andavano verso Furci- lo aveva apostrofato così:
< ‘ Ndo’ vije Necueline?>
E lui :<Vaije a ringraziè lu BeateAngele di Furci !>
< Necueline, ma se nen tie fatouje!? (-lavoro) De chè le vije a rengraziè? Eppure nen te pierde nu santuarie!… Nen è assaie timbe che sii ijute a la Madonne de le meracuele a Casalbordine!?>
Zi Necueline non gli aveva risposto… Papà sapeva che la più grande ricchezza dell’uomo è la buona salute, essendo passato attraverso la malattia e la morte di mamma ancor giovanissima. Zi Necueline era in buona salute, e se non lavorava fuori casa, coltivava i pochi terreni posseduti o tenuti a mezzadria.
E proseguirono poi per la loro strada: gli zii cominciarono la faticosa salita verso FURCI…più anziani di mio padre, pur senza lavoro, ma pieni di speranza e timorati di Dio…
Papà invece proseguì il suo percorso “solo”, pur onesto e timorato, ma forse non sostenuto da grande fede religiosa, come zi Necueline. Papà andava ad “affacciarsi “alla vigna, a le “chiaine” , forse per “stannare” le viti- togliere i germogli superflui, o i pampini eccedenti, o dare “l’acqua ramata”!? Non so. Quei pochi nostri terreni papà li aveva dati a mezzadria, mentre l’unico terreno, la vigna, lo coltivava personalmente, con l’aiuto di qualche operaio, con interesse continuo e amore : ci teneva a raccogliere una buona uva, per un vino “sereno” diceva lui, senza misture.
Questa la mia memoria all’incirca di quella sera e del racconto di papà; forse egli velleitariamente era stato concreto, un po’ sarcastico.(!!?)..-Penso, senza cattiveria, senza voler essere offensivo, né sapendo cosa fosse il sarcasmo – ricordo che era certamente insieme serio e pensieroso, per la sorella e il cognato, che pur riportarono a noi tre bambini, le vainelle da Furci…
Oh, questo ricordo è pregno di un non so chè…e.mi stringe il cuore! Caro papà!….Cara la zia Peppina!
Papà a suo modo credente, ma non praticante – solo alle “feste grandi” andava in chiesa, o ai funerali… La domenica comune era poco incline e poco dedito alla cura dello spirito! Ma credo sicuramente che Dio misericordioso gli abbia usato misericordia e perdono.
Soleva ripetere: <A casa mia neanche mezzo chilo di sale entra, se non col mio lavoro!> Forse educato “materialisticamente”!? Aveva cominciato a lavorare con suo padre a 7 anni! e tutta la sua vita è stata un rosario di giornate piene di lavoro! Ha dovuto affrontare necessità e vicissitudini familiari pesanti nella sua vita … Fatto sta che anche la domenica papà era impegnato, se non come muratore, in qualche altra occupazione agricola / casalinga: spaccare la legna, mettere a posto la cantina, quindi specie in ottobre, preparare le attrezzature per fare il vino: damigiane, callara, botti; apparecchiare l’angolo per il torchio…per spremere le vinacce … il grato odore invadeva la casa, fino alle camere- lo sento solo menzionandolo -e le strade …
Così il Carducci poeticamnte in San Martino
…..”Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de’ tini
Va l’aspro odor de i vini
L’anime a rallegrar…….”
Mio padre era sempre in attività; talvolta si concedeva un po’ di relax solo alla sera dopo cena: una mezz’ora al bar per un tressette e un bicchiere di birra. Anche per incontrare qualche amico – collega o accordarsi su un lavoretto per l’indomani. Ricordo che qualche sera, mentre io e mia sorella eravamo ancora sveglie nel lettino -pagliericcio, appunto – lo sentivamo tornare, con passo cadenzato e le scarpe pesanti, da lavoro…Era passato davvero poco tempo! Spuntava dall’angolo, a 50 metri da casa…e si avvicinava sempre più…e saliva la scalinata esterna alla casa, poi le due rampe interne e poi in silenzio… nella sua camera! Mi par di sentirlo ancora, e un tremolio mi scioglie lo stomaco, ancor oggi.
Ci sentivamo allora sicure io e mia sorella , e spesso d’inverno dormivamo abbracciate per scaldarci meglio, e il pagliericcio , pur duro, diventava allora “di frusciante alloro“, morbido e caldo e ci conciliava presto il sonno….
Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine